Testimonianza di Michele Vaira

Conoscenza con Don Fausto – cambio di prospettiva

Siamo passati da un parroco semplice, empatico, affettuoso, a un filosofo, travolgente, provocatore, a tratti urticante.

Siamo passati dall’atteggiamento rassicurante a uno dirompente, capace di mettere in discussione tutte le proprie convinzioni e le proprie abitudini.

Siamo passati dal Gen Rosso ai canti gregoriani. Dalla macchina da scrivere al primo computer Apple, il Mac Classic.

Fare un convegno nel suo nome ci impone di farlo -non dico nel suo stile – ma quantomeno evitando ciò che a lui dava più fastidio: l’ipocrisia.

Sarebbe facile, comodo e autoassolutorio stare tutti qui, a guardarci negli occhi, e dire quanto – noi presenti – siamo buoni e bravi, lamentarci dell’illegalità, e non capire in quale misura siamo parte del problema.

Parlare della vergogna del racket delle estorsioni, pretendere che i commercianti denuncino gli estorsori, e poi magari, uscendo, pagare il parcheggiatore abusivo.

Parlare di merito, di trasparenza, di onestà, e dimenticarci le scorciatoie che in molti, in troppi cerchiamo e talvolta otteniamo per i nostri interessi.

Di fronte a uno scenario del genere Don Fausto ci regalerebbe una delle sue frasi più celebri: “facit i serj”.

Uno dei primi insegnamenti del Vangelo che abbiamo imparato da ragazzi, del resto, è quello di non “scagliare pietre”.

L’autocelebrazione e l’autoassoluzione non è un atteggiamento da cattolici.

Quando Lelio mi ha chiesto di intervenire non mi ha dato particolari coordinate per il mio intervento. Mi ha solo chiesto di declinare la nostra comune identità cattolica nel campo del diritto, o meglio direi della giustizia. Aggiungendo” ovviamente parliamo di legalità”. Questo mi ha creato non pochi problemi nel disegnare il mio intervento.

Il tema della legalità non ci appartiene in quanto cattolici, ma in quanto cittadini. Non è per noi cattolici un tratto distintivo. La legalità è un prerequisito della vita pubblica, della civile convivenza. Che è comune ai cattolici come agli atei e ai musulmani.

E poi. Oggi la pubblica opinione identifica il tema della legalità come ricerca di colpevoli. Vede i processi come strumenti per applicare pene, piuttosto che per verificare le accuse.

Riflettete sulla frase “Giustizia è fatta”. L’avete mai sentita dopo un’assoluzione?

Sono arrivato al punto.

È frustrante, per un avvocato, specie se cattolico, sentirsi rivolgere la famosa domanda: “Come fai a difendere Tizio, come fai a difendere Caio”, colpevoli (quantomeno in apparenza) di crimini gravissimi. Soggetti indifendibili, mettiamola così.

La risposta talvolta mi viene più sintetica, altre volte più articolata. Bisogna spiegare innanzitutto che giammai difendiamo gli atti, i gesti, i crimini, ma difendiamo essenzialmente diritti, riconosciuti universalmente, a prescindere da ogni convinzione morale, religiosa o politica.

Diritti a un giusto processo, a una pena equa, a un trattamento umano.

Quando di fronte ho una persona di provata fede cattolica, posso anche limitarmi a citare Matteo, 7 7-13, “il medico deve curare i malati, non i sani”.

Ciò che resta della tradizione cattolica del nostro paese ci distingue, per esempio, nei confronti di paesi di tradizione protestante, dove il tema del recupero del reo, della sua risocializzazione, e finanche del perdono è del tutto assente. E infatti riscontriamo il ricorso (per fortuna in fase recessiva) alla pena di morte o a pene di durata ben superiore alla vita media di una persona.

Il crescente populismo giudiziario, purtroppo trasversale al nostro ceto politico, sta disarticolando sempre più la finalità rieducativa della pena, e ci rende sempre più insensibili alle disumane condizioni delle nostre carceri.

Chiedo a Beppe Fioroni: il garantismo è di destra, di centro o di sinistra?

A questo proposito, delle carceri.

Matteo 25,35-44

Chi più spesso incontra Gesù sono quei senza Dio dei miei compagni di Nessuno Tocchi Caino, che dedicano la loro vita al miglioramento delle condizioni carcerarie.

L’identità cattolica che anima i diversi operatori del diritto si declina in modo molto simile. Giudici e avvocati, nella differenza di ruoli e funzioni, vedono in ogni fascicolo, in ogni caso, una storia essenzialmente umana. In ogni imputato o condannato un uomo o una donna con qualche piccolo, magari ben nascosto, lato positivo. Cercano di infondere una speranza oltre ogni disperazione.

Giovanni Paolo II: “ Ciò che giuristi cattolici e quanti condividono la loro fede possiedono è la consapevolezza che il loro appassionato lavoro a favore della giustizia, dell’equità e del bene comune s’inscrive nel progetto di Dio che invita tutti gli uomini a riconoscersi come fratelli, come figli di un Padre unico e misericordioso, e conferisce agli uomini la missione di difendere ogni individuo in particolare i più deboli e di costruire la società terrena conformemente alle esigenze dei Vangeli “

C’è un passo delle scritture che è una sintesi del carattere di Don Fausto e la mia passione per la mia professione, che è ben visibile nella mia stanza accanto al quadro di Falcone e Borsellino.

Testo: Amos 5, 21-24

21 «Io odio, disprezzo le vostre feste,

non prendo piacere nelle vostre assemblee solenni.

22 Se mi offrite i vostri olocausti e le vostre offerte, io non le gradisco;

e non tengo conto delle bestie grasse che mi offrite in sacrifici di riconoscenza.

23 Allontana da me il rumore dei tuoi canti!

Non voglio più sentire il suono delle tue cetre!

24 Scorra piuttosto il diritto come acqua

e la giustizia come un torrente perenne!

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