Mi consentirete una premessa, prima di ricordare Don Fausto Parisi (Già sul “ricordare” dirò qualcosa). La premessa chiama in causa una riflessione storica sulla nostra Chiesa Locale. Chi ha un poco studiato questa storia, con attenzione partecipata e rispetto delle fonti, trae una conclusione: la nostra Chiesa locale si è mossa su tre traiettorie: la prudenza – la rassegnazione – il coraggio. Perché questa premessa? Per dire subito che Fausto Parisi, sacerdote, non fu mai rassegnato, forse il carattere gli impedì di essere sempre prudente (nel senso di “accomodante”), sicuramente fu coraggioso. Coraggio di parlare, di agire, di interrogarsi, di non essere “indifferente”; fu insofferente del silenzio che spesso è parente della menzogna. E di quanto coraggio avesse e tuttora avrebbe bisogno la nostra comunità ecclesiale, sulla scia di tanti sacerdoti, di tanti religiosi, di tanti laici che sono stati testimoni di scelte impegnate e spesso incomprese, altre volte contrastate, altre ancora collocate ai margini di un alleluia di cui abbiamo un forte bisogno. Di sacerdoti che non sono più con noi ma che sono sempre presenti, con la testimonianza sacerdotale che hanno lasciato, ne potrei citare tanti: cito Don Antonio Silvestri, Don Michele De Paolis, Don Donato Coco, Padre Crispino De Flumeri, Don Tonino Intiso, Padre Angelo Cuomo, Padre Ettore Cunial. Voi potreste citare tanti altri. Qui è necessaria subito una onesta dichiarazione: Che non sembri che “puntare il dito” su quel che non è andato e non va significhi “tirarsi fuori”, “farsi da parte” rispetto alle responsabilità. Riprendo una frase di J.P. Sartre: “Siamo tutti coinvolti, chiamati in causa perché noi siamo nel mondo”; nel nostro caso siamo tutti nella Chiesa. Ci sono però tutte le premesse perché questa Comunità ecclesiale sia profetica, sia missionaria; annunci la sua pulita ed ecumenica identità. E la presenza a Foggia, come nuovo Arcivescovo, di un missionario è di buon auspicio. Sono passati sei anni dalla sua morte, avvenuta il 4 febbraio 2018, e questa non è un’occasione di memoria come di un profilo passato perché qui sono presenti tanti che ne continuano il messaggio, ne propongono l’afflato umano e spirituale, nel senso di una testimonianza condivisa tra il sacerdozio del battesimo, di cui tutti noi siamo eredi, e il sacerdozio presbiterale, di cui Fausto era l’annuncio, il Vangelo. Fausto, Faustino per essere preciso, era figlio del popolo, veniva da una famiglia non ricca – eufemismo – che si straziava l’esistenza con lavori umili. Faustino visse con coraggio e spesso con sofferenza quest’appartenenza, patendo anche “i si dice” (chi sa, comprenderà la reticenza rispettosa). Fu seminarista presso i Giuseppini del Murialdo. In quella Congregazione apprese l’amore per i giovani, per i più indifesi, i diseredati, gli scartati. Dal loro Fondatore, San Leonardo Murialdo, amò il programma di vita da educatore: Essere straordinari nell’ordinario. Niente spocchia, niente enfasi. Dai Giuseppini passò al Seminario Inter-diocesano di Molfetta. La custode dell’appartenenza al popolo per lui fu la madre: donna del popolo, popolana nel senso aristocratico del termine. Lo può comprendere solo chi viene da quel dignitoso stato sociale che nulla chiede e tanto sa dare. Quando era Parroco a Segezia, borgata dei contadini, andai a trovarlo e la madre, al massimo dell’accoglienza, mentre Fausto ed io discutevamo dei “massimi sistemi”, ci prepa- 2 rò una merenda nobile: pane e pomodoro. Acqua fresca e niente vino…”se no’ ve’ imbriacate e dicite fesserie”. Ho detto che Don Fausto scelse, per il suo sacerdozio, il coraggio. Andiamo al significato della parola “coraggio”: agire con il cuore. Ma agì anche con la mente; fu un uomo di cultura: Laureato in Filosofia a Genova – Specializzato in Filosofia Morale sempre a Genova – Licenziato in Teologia Morale presso l’Accademia Alfonsiana in Roma – Dottore in Teologia morale presso l’Accademia Alfonsiana (Magna cum Laude) – Giornalista pubblicista. Mi preme sottolineare che i suoi riferimenti culturali furono gli studi di Rahner, Moltmann, Guardini e soprattutto Domenico Capone (una delle menti più lucide, d’intensa partecipazione alla Chiesa del Concilio Vaticano II, una delle personalità più ascoltate per una cultura religiosa educativa, sul versante dello studio della Morale e dell’Etica. Di Domenico Capone fece sua la tensione delicatissima, scaturita nella discussione conciliare, tra Etica e Morale, soprattutto nello scritto di Capone stesso dal titolo: “La verità nell’atto umano”. Romano Guardini, prete veronese che visse tutta la sua vita, con la famiglia, in Germania; prete che si oppose al nazismo di Hitler. Di Guardini amò e fece sua l’identità sacerdotale che cerca di scoprire la mano di Dio negli eventi umani. Di Karl Rahner, filosofo e teologo tedesco, gesuita, che generò sofferto dibattito nella Chiesa tedesca e non solo, Fausto colse il convincimento che l’evangelizzazione deve accostare le tematiche della fede anche nella condizione di complessità e frammentazione tipica dell’uomo contemporaneo. Come studioso di Morale e di Filosofia, continua fu la sua battaglia contro il “feticismo della norma”. Fausto come fu studioso appassionato nei livelli alti della Filosofia e della teologia morale, fu un antesignano dell’uso delle nuove tecnologie. “Prete tecnologico” potremmo definirlo, dove lo strumento serve e da cui non si è asserviti. Dell’intensa partecipazione di Don Fausto alla vita culturale della Chiesa invito a leggere, tra le tantissime pubblicazioni: “Mondo e Persona”. Il contributo di R. Guardini al Personalismo”, Levante, Bari 1986 – Il valore dell’esperienza morale e della coscienza – Il capitalismo dal volto cristiano. La proposta di Michael Novak – Il valore della virtù della prudenza in Domenico Capone – Usura e Usure: un approccio storico. Quest’ultimo testo che ho citato ci apre al versante dell’impegno coraggioso e rischioso di Fausto sul versante sociale e “politico” nel senso nobile. Fu un fautore dell’impegno della Chiesa locale e della società cittadina sul versante drammatico dell’usura che attanagliava e – diciamolo pure – attanaglia la nostra terra. Di Michael Novak approfondì la questione del rapporto donativo e altruistico tra lo spirito evangelico del cattolicesimo, ispirato al pauperismo, e lo spirito del capitalismo che condiziona la vita di più della metà del mondo. Brevissimi cenni sull’impegno di Don Fausto nella Chiesa Locale: Parroco in varie Chiese – Responsabile dell’Associazionismo cattolico, soprattutto dello scautismo – responsabile del Liceo del S. Cuore – docente di religione. Non si risparmiò mai. La sua vera vocazione, il suo evangelizzare squisito fu per il popolo. Del popolo aveva l’humus, la sferzante ironia, la bonomia, il coraggio del “pane al pane, vi- 3 no al vino”. Le sue prediche – che prediche non erano ma concomitante epifania della Parola di Dio – erano alte e insieme terra-terra, con l’uso anche dei nostri luoghi comuni, del nostro dialetto. “Non mi capite…emmena fate uno sforzo…io così so parlare!”. E come parlava Fausto: non era né evasivo né allusivo. “Il vostro parlare – dice il Vangelo – sia sì sì, no no”. Mai aggressivo ma neanche elusivo. Certo non amava chi si metteva la pettorina del “donativo” per fare della carità un privilegio per la riconoscenza dei bisognosi. Anima inquieta, forse, tormentata anche. Ma un tormento che si fa ascolto, curiosità dell’altro. Fausto, uomo e prete del popolo, amava le cose umili, quelle fatte di terra della propria terra. Karl Rahner, che ho già citato come uno dei filosofi-teologici che lui studiò, disse che “Dobbiamo saper accettare le cose umili e oscure di tutti i giorni: diventano irritanti solo se non sono capite.” Fausto amò viaggiare – par qualcuno voleva dire che “andò via” in Sicilia, in America. Andò con animo missionario, accolto e accogliente. Non fuggì, come ha sostenuto qualcuno; ha peregrinato. Rapporto con l’Autorità: Don Fausto era restio a dare ordini come fu anche restio a concepire l’Autorità come l’accettazione critica e servile. Questo non gli rese sempre una vita facile nell’apparato istituzionale della Chiesa Locale. Ebbe rapporti filiali soprattutto con Mons. Lenotti e ne pianse la morte come si piange un padre. Conclusione: Sono passati sei anni dalla sua morte; l’associazione che porta il suo nome, ne continua non solo il ricordo ma soprattutto il messaggio. Vale per il nostro fratello Fausto quello che disse William James: “L’uso migliore della vita è di spenderla per qualcosa che duri più della vita stessa”. E vale per Fausto, per il suo ricordo, come quello di un compagno di viaggio. David Maria Turoldo ha scritto: “Penso che nessun’altra cosa ci conforti tanto, quanto il ricordo di un amico, la gioia della sua confidenza o l’immenso sollievo di esserti tu confidato a lui con assoluta tranquillità appunto perché amico.” E concluderò, in ricordo di Fausto, con questa frase di Hannah Arendt sull’amicizia perché Fausto fu, nel significato più denso del termine, un “amico”: Dice Hannah Arendt: “… per i Greci l’essenza dell’amicizia consisteva nel discorso. Essi sostenevano che solo un costante scambio di parole poteva unire i cittadini in una polis […] Chiamavano filantropia quest’ umanità che si realizza nel dialogo dell’amicizia, poiché essa si manifesta nella disponibilità a condividere il mondo con altri uomini. L’amicizia presuppone, quindi, la nozione di umanità e insieme il radicarsi nel mondo. Dove si realizza, infatti, un’amicizia pura lì si “produce una scintilla di umanità in un mondo divenuto inumano”. Davide A. Leccese
Testimonianza di Davide Leccese
